mercoledì 18 aprile 2018

I Novissimi - Inferno "È la situazione in cui definitivamente si colloca chi respinge la misericordia del Padre anche nell’ultimo istante della sua vita."

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L'inferno



Introduzione

L'Inferno, escluso purtroppo dalla predicazione dei nostri tempi da chi si scandalizza della giustizia di Dio e della libertà dell'uomo, svigorito da fantasie teologiche per le quali sarebbe vuoto, è una verità di fede imprescindibile, negando la quale – secondo il Simbolo Atanasiano del IV secolo - si pecca contro la fede e si mette a rischio la propria salvezza (Denzinger 40). Già il Vecchio Testamento ne parla nel Libro della Sapienza, per giungere alla chiarezza tragica e radicale dei Vangeli, delle Epistole e dell'Apocalisse.

All'Inferno sono destinati coloro che, al momento della morte, sono trovati nel peccato mortale (fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, invidie, ubriachezze, orge, incredulità, omicidio, menzogna ecc., come elencano Gal 5,21 e Ap 21,8).

Le pene dell'Inferno sono eterne, come affermano innumerevoli testi neotestamentari (ad esempio Mt 13,41 eAp 14,11), e magisteriali, tra i quali il magistero infallibile che si è pronunciato nel XII Concilio ecumenico Lateranense IV, presieduto da Papa Innocenze III nel 1215, e Il Credo del Popolo di Dio redatto da Papa Paolo VI nel 1968. La dottrina dell’apocatastasi, divulgata da Origene, per la quale l'Inferno sarebbe solo temporaneo, sia per gli uomini che per i demoni, è condannata come eretica già fin dal Sinodo di Costantinopoli nel 543 (Denzinger 211).

Le pene dell'Inferno sono due: quella dei sensi e quella del danno. Nella risurrezione della carne, che avverrà anche per i dannati, i sensi che essi misero al servizio del peccato invece che dell'amore saranno tormentati per l'eternità, secondo la logica teologica del contrappasso, che Dante rappresenta con fantasia magistrale. È quanto esprime la dizione evangelica del fuoco eterno, che non è tuttavia necessariamente un fuoco materiale. La  pena del danno è la perdita eterna della visione beatifica di Dio, per il quale siamo stati creati e al di fuori del quale non vi è possibile felicità.

L’Inferno scandalizza chi non ha fede, perché sembra in contrasto con l'infinita misericordia di Dio. In realtà esso è la suprema manifestazione dell'infinitudine dell'amore di Dio, che ama talmente l'uomo da lasciarlo assolutamente libero, essendo così disposto a ratificare - pur a malincuore - il rifiuto volontario e cosciente che i malvagi Gli oppongono. Il dogma dell'Inferno rivela quindi il carattere altamente drammatico della libertà umana, ed è al contempo un «appello alla responsabilità» e un «pressante appello alla conversione» (CCC 1036).


L'INFERNO


L'esistenza dell'Inferno
, ampiamente testimoniata dalla Sacra Scrittura, è dogma di fede, già presente nella Fides Damasi e nel Simbolo Atanasiano. Fu definita nel Concilio Lateranense IV (1215), nel Concilio Lionese II (1274), da Benedetto XII nella Costituzione Benedictus Deus (1336) e nel Concilio Fiorentino (1439).
L'esistenza dell'Inferno è testimoniata nell'Antico Testamento: Is. 66, 23-24; Judit. 16, 20-21; Dan. 12, 1-2; II Mach. 7, 1-39 e nel Libro della Sapienza, 5, 14 e con maggiore insistenza e chiarezza nel Nuovo Testamento, da Gesù: Mt. 5, 27; Mc. 9, 43; Mt. 18, 8; Lc. 16, 19-31; Mt. 25, 41. E ancora II Petr. 2, 4; Jac. 3, 6; Rom. 6, 21; Apoc. 18.
La ragione stessa comprende che Dio deve proporzionare - nella Sua infinita Giustizia - il premio ai buoni ed il castigo ai cattivi. L'annichilazione del peccatore non sarebbe una pena giusta e proporzionata, perché eliminerebbe lo stesso soggetto che deve riparare l'offesa fatta a Dio.

A. LE PENE DELL'INFERNO

Le pene dell'Inferno sono quelle del danno e del senso.

La pena del danno consiste nella privazione di Dio e di ogni altro bene a Dio connesso: «Discedite a me, maledicti» (Mt., 25, 41; cfr. anche Mt. 7, 23; I Cor. 6, 9; Gal. 5, 19-22). Corrisponde al rifiuto che il peccatore ha fatto di Dio quale fine ultimo della sua vita e costituisce la massima pena: «Peccatum mortale meretur carentiam visionis divinæ, cui nulla alia poena comparari potest» (S. Tommaso, Summa th., II, q. 88 ad 2).

La pena del senso è la sofferenza che deriva da un agente esterno e che corrisponde al cattivo uso che si è fatto delle creature. Il fuoco dell'Inferno è reale e non metaforico (Origene, Gaetano Catarino, Möhler, Keel, Doms, oltre Calvino). Nel Nuovo Testamento il fuoco dell'Inferno è ricordato almeno 23 volte, sempre in senso proprio; è paragonato al fuoco di Sodoma (II Petr. 2, 6) e chiamato gehenna, o fuoco della gehenna, fuoco che bruciava i fanciulli offerti a Moloch nella valle Hinnom; la parabola della zizzania è spiegata in senso proprio (Mt. 13, 30-42) e di fuoco si parla nella sentenza finale.

Così è stato costantemente inteso dalla Tradizione e dall'insegnamento della Chiesa, che ha condannato le idee dello Schell (all'Indice, 15.XII.1898) e gli opuscoli del Mivart (S. Offizio, 14.VII.1898); una disposizione della Sacra Penitenzieria (30.IV.1899) vieta di assolvere come positivamente indisposti i derisori del fuoco reale dell'Inferno. La sentenza contraria è almeno temeraria (vedi le Note teologiche).

Come il fuoco materiale possa tormentare gli spiriti viene variamente spiegato: San Tommaso dice «per modum alligationis» (De Veritate, q. 26, ad 1; C. Gent. 4, 90; Summa Theol., III; Suppl. q. 70 ad 3); secondo il Lessio, «per virtù particolare ricevuta da Dio» (Perfectionibus moribusque divinis, 13, 30, 216) e Sant'Agostino scrive: «Quamvis miris tamen veris modis etiam spiritus incorporeos potest poena corporalis ignis affligere» (De Civitate Dei, 21, 10),
Il rimorso, che strazia e divora come un verme (Mt., 26, 24; Apoc., 9, 6) il dannato, deriva dalla conoscenza della colpa e del bene perduto. Sia la pena del danno che la pena del corpo sono proporzionate al grado delle proprie responsabilità (Rom., 2, 6: «Reddet unicuique secundum opera sua»), definito nel Concilio Ecumenico Lateranense IV (1215) e da Benedetto XII (1336): «Definiamo che, secondo l'ordine comune voluto da Dio, le anime che muoiono in peccato attuale discendono subito dopo la propria morte all'inferno, dove vengono tormentate dalle pene infernali».

B. DURATA DELLE PENE

Le pene dell'inferno, come prova la Sacra Scrittura e la Tradizione ininterrotta della Chiesa, sono eterne, senza fine. Dire il contrario, afferma Sant'Agostino, «multum absurdum est» (De Civitate Dei, 21, 32).
La ragione da sola non può dimostrare l'eternità dell'Inferno, ma ne trova il fondamento:

1. nell'efficacia della Legge Divina, che non otterrebbe il suo scopo - e il peccato trionferebbe - se la pena non fosse eterna;

2. nella necessità di un termine quanto alla possibilità di raggiungere il fine ultimo, se non si vuol rendere Dio dipendente dal capriccio dell'uomo;

3. nell'offesa fatta a Dio, che è infinita in quanto l'offeso, Dio, è infinito.

L'eternità dell'Inferno non contraddice l'amore infinito di Dio, perché l'Inferno è la scelta fatta liberamente dall'uomo, rifiutando colpevolmente l'amore infinito di Dio.

Nel Catechismo della Chiesa Cattolica leggiamo:


IV. L'inferno
 
1033 Non possiamo essere uniti a Dio se non scegliamo liberamente di amarlo. Ma non possiamo amare Dio se pecchiamo gravemente contro di lui, contro il nostro prossimo o contro noi stessi: « Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna » (1 Gv 3,14-15). Nostro Signore ci avverte che saremo separati da lui se non soccorriamo nei loro gravi bisogni i poveri e i piccoli che sono suoi fratelli. Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l'amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola « inferno ». 
1034 Gesù parla ripetutamente della « geenna », del « fuoco inestinguibile », che è riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e dove possono perire sia l'anima che il corpo. Gesù annunzia con parole severe: « Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno [...] tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente » (Mt 13,41-42), ed egli pronunzierà la condanna: « Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno! » (Mt 25,41). 
1035 La Chiesa nel suo insegnamento afferma l'esistenza dell'inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell'inferno, « il fuoco eterno ». La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l'uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira. 
1036 Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa riguardanti l'inferno sono un appello alla responsabilità con la quale l'uomo deve usare la propria libertà in vista del proprio destino eterno. Costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla conversione: « Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano! » (Mt 7,13-14).
« Siccome non conosciamo né il giorno né l'ora, bisogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente, affinché, finito l'unico corso della nostra vita terrena, meritiamo con lui di entrare al banchetto nuziale ed essere annoverati tra i beati, né ci si comandi, come a servi cattivi e pigri, di andare al fuoco eterno, nelle tenebre esteriori dove ci sarà pianto e stridore di denti ». 
1037 Dio non predestina nessuno ad andare all'inferno; questo è la conseguenza di una avversione volontaria a Dio (un peccato mortale), in cui si persiste sino alla fine. Nella liturgia eucaristica e nelle preghiere quotidiane dei fedeli, la Chiesa implora la misericordia di Dio, il quale non vuole « che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi » (2 Pt 3,9):
« Accetta con benevolenza, o Signore, l'offerta che ti presentiamo noi tuoi ministri e tutta la tua famiglia: disponi nella tua pace i nostri giorni, salvaci dalla dannazione eterna, e accoglici nel gregge degli eletti ». 


Infine riporto una bella catechesi tenuta da San Giovanni Paolo II in occasione di un'udienza generale (28 luglio 1999):

L’inferno come rifiuto definitivo di Dio


Lettura: Gv 3, 17-19
Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è gia stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie.

1. Dio è Padre infinitamente buono e misericordioso. Ma l’uomo, chiamato a rispondergli nella libertà, può purtroppo scegliere di respingere definitivamente il suo amore e il suo perdono, sottraendosi così per sempre alla comunione gioiosa con lui. Proprio questa tragica situazione è additata dalla dottrina cristiana quando parla di dannazione o inferno. Non si tratta di un castigo di Dio inflitto dall’esterno, ma dello sviluppo di premesse già poste dall’uomo in questa vita. La stessa dimensione di infelicità che questa oscura condizione porta con sé può essere in qualche modo intuita alla luce di alcune nostre terribili esperienze, che rendono la vita, come si suol dire, un “inferno”.
In senso teologico, tuttavia, l’inferno è altra cosa: è l’ultima conseguenza dello stesso peccato, che si ritorce contro chi lo ha commesso. È la situazione in cui definitivamente si colloca chi respinge la misericordia del Padre anche nell’ultimo istante della sua vita.

2. Per descrivere questa realtà, la Sacra Scrittura si avvale di un linguaggio simbolico, che si preciserà progressivamente. Nell’Antico Testamento, la condizione dei morti non era ancora pienamente illuminata dalla Rivelazione. Si pensava infatti per lo più che i morti fossero raccolti nello sheól, un luogo di tenebre (cfr Ez 28, 8; 31,14; Gb 10, 21s.; 38, 17; Sal 30, 10; 88, 7.13), una fossa dalla quale non si risale (cfr Gb 7, 9), un luogo in cui non è possibile dare lode a Dio (cfr Is 38, 18; Sal 6, 6).
Il Nuovo Testamento proietta nuova luce sulla condizione dei morti, soprattutto annunciando che Cristo, con la sua risurrezione, ha vinto la morte e ha esteso la sua potenza liberatrice anche nel regno dei morti.

La redenzione rimane tuttavia un'offerta di salvezza che spetta all'uomo accogliere in libertà. Per questo ciascuno verrà giudicato “secondo le sue opere(Ap 20, 13). Ricorrendo ad immagini, il Nuovo Testamento presenta il luogo destinato agli operatori di iniquità come una fornace ardente, dove è “pianto e stridore di denti” (Mt 13, 42; cfr 25, 3 0.41), oppure come la Geenna dal “fuoco inestinguibile” (Mc 9, 43). Tutto ciò è espresso narrativamente nella parabola del ricco epulone, nella quale si precisa che gli inferi sono il luogo di pena definitiva, senza possibilità di ritorno o di mitigazione del dolore (cfr Lc 16, 19-31).

Anche l’Apocalisse raffigura plasticamente in uno “stagno di fuoco” coloro che si sottraggono al libro della vita, andando così incontro alla “seconda morte” (Ap 20, 13s.). Chi dunque si ostina a non aprirsi al Vangelo si predispone a “una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza” (2 Ts 1, 9).

3. Le immagini con cui la Sacra Scrittura ci presenta l’inferno devono essere rettamente interpretate. Esse indicano la completa frustrazione e vacuità di una vita senza Dio. L’inferno sta ad indicare più che un luogo, la situazione in cui viene a trovarsi chi liberamente e definitivamente si allontana da Dio, sorgente di vita e di gioia. Così riassume i dati della fede su questo tema il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Morire in peccato mortale senza esserne pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola ‘inferno’» (n. 1033).
La ‘dannazione’ non va perciò attribuita all’iniziativa di Dio, poiché nel suo amore misericordioso egli non può volere che la salvezza degli esseri da lui creati. In realtà è la creatura che si chiude al suo amore. La ‘dannazione’ consiste proprio nella definitiva lontananza da Dio liberamente scelta dall’uomo e confermata con la morte che sigilla per sempre quell’opzione. La sentenza di Dio ratifica questo stato.

4. La fede cristiana insegna che, nel rischio del ‘sì’ e del ‘no’ che contraddistingue la libertà creaturale, qualcuno ha già detto no. Si tratta delle creature spirituali che si sono ribellate all’amore di Dio e vengono chiamate demoni (cfr Concilio Lateranense IV: DS 800-801). Per noi esseri umani questa loro vicenda suona come ammonimento: è richiamo continuo ad evitare la tragedia in cui sfocia il peccato e a modellare la nostra esistenza su quella di Gesù che si è svolta nel segno del ‘sì’ a Dio.
La dannazione rimane una reale possibilità, ma non ci è dato di conoscere, senza speciale rivelazione divina, quali esseri umani vi siano effettivamente coinvolti. Il pensiero dell’inferno – tanto meno l’utilizzazione impropria delle immagini bibliche - non deve creare psicosi o angoscia, ma rappresenta un necessario e salutare monito alla libertà, all’interno dell’annuncio che Gesù Risorto ha vinto Satana, donandoci lo Spirito di Dio, che ci fa invocare “Abbà, Padre” (Rm 8, 15; Gal 4, 6).
Questa prospettiva ricca di speranza prevale nell’annuncio cristiano. Essa viene efficacemente riflessa nella tradizione liturgica della Chiesa, come testimoniano ad esempio le parole del Canone Romano: “Accetta con benevolenza, o Signore, l’offerta che ti presentiamo noi tuoi ministri e tutta la tua famiglia … salvaci dalla dannazione eterna, e accoglici nel gregge degli eletti”.

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“Se esistesse una solitudine nella quale nessuna parola di un altro potesse più arrivare e avere effetto
trasformante allora sarebbe data quella vera e totale solitudine e terribilità che il teologo chiama
«inferno»” (J. Ratzinger).

“Una cosa è certa: c’è una notte nel cui abbandono non arriva alcuna voce; vi è una porta attraverso la
quale noi posiamo passare solamente in solitudine: la porta della morte. Tutte la paura del mondo è in
ultima analisi paura di questa solitudine” (J. Ratzinger).

“La morte è la solitudine per antonomasia. Ma quella solitudine nella quale l’amore non può più penetrare è l’inferno” (J. Ratzinger).

“L’amore è un dono che l’uomo riceve; è la conseguente trasformazione di ogni sua miseria, di ogni sua insufficienza; neppure il “si” a tale amore scaturisce dall’uomo stesso, ma è provocato dalla forza di questo amore. Ma la libertà di rifiutarsi alla maturazione di questo “si”, di non accettarlo come qualcosa di proprio, questa libertà rimane” (J. Ratzinger).


SUOR FAUSTINA KOWALSKA

L'Inferno

Dal Diario 20.x.1936. (II° Quaderno)
.
Oggi, sotto la guida di un angelo, sono stata negli abissi dell'inferno. E un luogo di grandi tormenti per tutta la sua estensione spaventosamente grande.

Queste le varie pene che ho viste: la prima pena, quella che costituisce l'inferno, è la perdita di Dio; la seconda, i continui rimorsi di coscienza; la terza, la consapevolezza che quella sorte non cambierà mai; la quarta pena è il fuoco che penetra l'anima, ma non l'annienta; è una pena terribile: è un fuoco puramente spirituale acceso dall'ira di Dio; la quinta pena è l'oscurità continua, un orribile soffocante fetore, e benché sia buio i demoni e le anime dannate si vedono fra di loro e vedono tutto il male degli altri ed il proprio; la sesta pena è la compagnia continua di satana; la settima pena è la tremenda disperazione, l'odio di Dio, le imprecazioni, le maledizioni, le bestemmie.

Queste sono pene che tutti i dannati soffrono insieme, ma questa non è la fine dei tormenti. Ci sono tormenti particolari per le varie anime che sono i tormenti dei sensi. 
Ogni anima con quello che ha peccato viene tormentata in maniera tremenda e indescrivibile. Ci sono delle orribili caverne, voragini di tormenti, dove ogni supplizio si differenzia dall'altro.
Sarei morta alla vista di quelle orribili torture, se non mi avesse sostenuta l'onnipotenza di Dio. Il peccatore sappia che col senso col quale pecca verrà torturato per tutta l'eternità.

Scrivo questo per ordine di Dio, affinché nessun'anima si giustifichi dicendo che l'inferno non c'è, oppure che nessuno c’è mai stato e nessuno sa come sia.

Io, Suor Faustina, per ordine di Dio sono stata negli abissi dell'inferno, allo scopo di raccontarlo alle anime e testimoniare che l'inferno c'è.

Ora non posso parlare di questo. Ho l'ordine da Dio di lasciarlo per iscritto. I demoni hanno dimostrato un grande odio contro di me, ma per ordine di Dio hanno dovuto ubbidirmi.
Quello che ho scritto è una debole ombra delle cose che ho visto. Una cosa ho notato e cioè che la maggior parte delle anime che ci sono, sono anime che non credevano che ci fosse l'inferno. 
Quando ritornai in me, non riuscivo a riprendermi per lo spavento, al pensiero che delle anime là soffrono così tremendamente, per questo prego con maggior fervore per la conversione dei peccatori, ed invoco incessantemente la Misericordia di Dio per loro.

O mio Gesù, preferisco agonizzare fino alla fine del mondo nelle più grandi torture, piuttosto che offenderTi col più piccolo peccato.




Approfondiamo il tema dei novissimi 

con post dedicati, ecco l'elenco:


I Novissimi - Inferno "È la situazione in cui definitivamente si colloca chi respinge la misericordia del Padre anche nell’ultimo istante della sua vita." 

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